L’allievo Gilles

Andrè Lafon

La Grande Biblioteca

Traduzione di Carlo Betocchi

Anno :1994

Pagine :160

Prezzo :9,90€

ISBN :978-88-368-0750-5


Il libro:

Pubblicato nel 1912 ed uscito in Italia nel 1936 nella bellissima traduzione di Carlo Betocchi, L'allievo Gilles è stato definito da Giovanni Raboni "un piccolo capolavoro"; eppure, come rilevava lo stesso Raboni, sarebbe arduo ricercare il nome del suo autore nei dizionari di letteratura, e persino in quelli francesi. Ma il nome di Andrè Lafon, nato nel 1883 a Bordeaux e morto di scarlattina a soli trentadue anni, circolava con insistenza negli ambienti letterari francesi dell'inizio del secolo scorso, tanto che il suo debutto narrativo - L'elève Gilles, appunto, che sarebbe stato seguito due anni dopo da un altro romanzo, La maison sur la rive - era stato premiato dall'Academie Française con il Grand Prix de Litterature. E una decina d'anni più tardi Françoise Mauriac, che Lafon aveva conosciuto ed amato, arrivò a dedicargli un intero libro, un appassionato ricordo dal titolo La vie et la mort d'un poète.
L'allievo Gilles è innanzitutto romanzo di formazione, fiorito anch'esso, come scrive Mario Luzi nella nota introduttiva alla nostra edizione, "all'epoca della grande musa adolescenziale, accanto alle opere coeve che da Gide a Proust a Alain-Fournier fino a Mauriac stesso costellano quella fase dell'invenzione lirica e narrativa"; ed è romanzo di toni e atmosfere, dove la vicenda è tutta interiorizzata, nello sradicamento del protagonista dalla famiglia, nella forzata immobilità del collegio, nella timida scoperta del proprio universo affettivo e sessuale.
Il brano:

«Mi chiamo Gilles.Entravo nel mio undicesimo anno quando un mattino d'inverno mia madre decise d'accompagnarmi da una vecchia parente presso la quale passavo di solito le mie vacanze. Avrei dovuto trascorrerci qualche tempo; la tosse canina, della quale ero convalescente, servì di pretesto a questo soggiorno la cui sola idea mi avrebbe riempito di gioia se in quel brusco cambiamento non ci fosse stato qualcosa che mi impediva di sentirmi lieto. […]»