Nel cielo nero d’Italia
Aleksandr Blok
Passigli Poesia
Aleksandr Blok viaggiò in Italia insieme alla moglie Ljuba nel 1909. Era un anno difficile per la Russia, ancora sconvolta dalla rivolta del 1905 repressa nel sangue, e dove lo scollamento con il regime dello zar diveniva sempre più vistoso e irreparabile. Echi di quella tempestosa situazione compaiono anche in queste pagine, che riuniscono per la prima volta tutti gli scritti di Blok dedicati all'Italia, in primo luogo le bellissime poesie (qui proposte con il testo originale a fronte), ma anche le prose di Lampi d'arte - un'opera mai conclusa, iniziata nell'autunno di quello stesso anno - delle Lettere e dei Taccuini.
Blok e Ljuba visitano buona parte delle più belle città del centro e nord Italia: da Venezia a Firenze, da Ravenna a Perugia, da Milano ad Assisi, in un 'grand tour' concitato, che a tratti assume quasi l'aspetto di un vero 'tour de force': ma la sensibilità e gli occhi del poeta sono sempre attentissimi, scrupolosi nel decifrare i dettagli di ciò che vede, e in particolare nel seguire le tracce di un passato di bellezza tanto storico quanto ideale, nel quale trovare un agognato rifugio, ricongiungendosi a quel mondo dell'arte che per il poeta russo era il suo vero “mondo personale”.
Ma l'Italia di Blok è anche un paese tragico, e proprio “per il fruscio sotterraneo della storia, assordante e irreversibile”; anche se - aggiunge il poeta - “la gran parte di queste cupe impressioni dipende da me: neppure il sole italiano potrà mai dissipare gli incubi russi”.
Aleksandr Blok (San Pietroburgo, 1880-1921) è stato uno dei massimi poeti russi, quello che più di ogni altro ha influito sulla grande poesia della sua epoca e successiva. Amico di Sergej Solov'ëv, Vjačeslav Ivanov e Andrej Belyi, si legò al gruppo dei simbolisti; nel 1903 sposò Ljubov’ Dmitrevna Mendeleeva (Ljuba), grande appassionata di teatro e di letteratura. Nel 1905 pubblicò la sua prima raccolta, Versi sulla Bellissima Dama, cui fece seguito La gioia inattesa (1907), Terra della neve (1908), Ore notturne (1911), Versi sulla Russia (1915) e Il mondo terribile (1909-1916). Nel frattempo, si era dedicato anche al teatro, con notevole successo, e del 1907 è il testo teatrale Il piccolo baraccone, che decretò la sua rottura con il simbolismo più ufficiale. Sorprendentemente per molti dei suoi ammiratori, aderì con entusiasmo alla rivoluzione del 1917, filtrando quel grande rivolgimento attraverso una visione quasi messianica: il poemetto I dodici (1918) è la straordinaria rappresentazione della marcia di dodici soldati bolscevichi, dodici come gli apostoli di Cristo. Sempre nel 1918, pubblicò l'altro poemetto Gli Sciti e i saggi de L'intelligencija e la rivoluzione. Morì qualche mese dopo aver superato i 40 anni, il 7 agosto del 1921; aveva chiesto più volte al governo dei Soviet di potersi curare all'estero, ma inutilmente, e il passaporto gli giunse il giorno prima della morte, quando era ormai in coma. Poco tempo prima aveva tenuto uno storico discorso presso la Casa degli scrittori in memoria di Puškin.
"Oh condanna della malinconia,
io sì ti conosco a memoria!
Nel cielo nero d’Italia
rispecchio la nera anima mia"