Tutti i miei peccati
Francesco Jovine
Passigli Narrativa
Apparentemente lontani dalle opere più frequentate di Francesco Jovine, che indagano in particolare il mondo contadino dell’epoca partendo da quel microcosmo molisano in cui lo stesso scrittore era cresciuto, i due racconti che fanno parte di questo volume, pubblicati per la prima volta nel 1948, allargano la visuale alla frastornante realtà della Capitale. Così, in "Tutti i miei peccati", il racconto che dà il titolo al volume, Nicoletta Rostagno, giovane donna “sedotta e abbandonata”, si confessa a un prete per mezzo di una lunga lettera che scava nelle profondità di una psicologia intrisa di un dolente narcisismo; mentre nel secondo racconto, "Uno che si salva", il giovane maestro Siro Baghini, recatosi a Roma per laurearsi e per “vivere”, vede giorno dopo giorno le sue speranze sgretolarsi, perduto fra le attenzioni delle donne della famiglia che lo ospita e il gioco d’azzardo.
Ancora una volta, Jovine si conferma narratore di estrema finezza; e la distanza dalle opere più note è solo apparente, perché anche la provincia in Jovine, come ha scritto Arnaldo Bocelli, era soprattutto «metafora o mito di una condizione umana» che ritroviamo anche qui, tra questi disillusi protagonisti.
Di origine contadina, Francesco Jovine (Guardialfiera, Campobasso, 1902 – Roma, 1950) si interessò molto precocemente alla letteratura, tanto che, abbandonati gli studi tecnici, prese a frequentare la scuola magistrale, trasferendosi poi a Roma per conseguire la laurea. Divenuto direttore didattico, curò le rubriche letterarie di «Italianissima» e de «I diritti della scuola», schierandosi a favore del realismo in letteratura e contro l’ancora imperante dannunzianesimo. Del 1934 è il suo romanzo d’esordio, "Un uomo provvisorio", subito censurato dal regime fascista con l’accusa di “disfattismo”, seguito a distanza di tre anni da "Ragazza sola". Ma già in quel 1937 decise di allontanarsi dall’Italia mussoliniana, accettando un incarico di insegnante prima a Tunisi e poi al Cairo. Rientrato in Italia nel 1940, iniziò a collaborare con riviste e quotidiani, anche con articoli sul suo Molise, che vennero poi raccolti postumi. Del 1942 è uno dei suoi capolavori, il romanzo "Signora Ava". Dopo la caduta del fascismo, aderì alla Resistenza, e alla fine della guerra iniziò a collaborare con «l’Unità», «Vie Nuove» e «Rinascita». Morì improvvisamente nel 1950, stroncato da una crisi cardiaca che gli impedì di vedere l’uscita di quello che oggi è il suo romanzo più famoso, "Le terre del Sacramento", apparso pochi giorni dopo la sua morte e vincitore del Premio Viareggio.