Alcool

Guillaume Apollinaire

Passigli Poesia

A cura di Fabio Scotto

Anno :2023

Pagine :256

Prezzo :19,50€

ISBN :9788836819713

L’apparizione di Alcool nel 1913 fu un vero avvenimento non solo per la poesia francese di quell’epoca, ma per l’intera poesia novecentesca. Basti pensare che in quello stesso anno Apollinaire diede alle stampe i suoi celebri saggi sulla pittura moderna e sui pittori cubisti, che avevano contribuito non poco a fare di questo scrittore, figlio di padre italiano d’origine svizzera che mai lo riconobbe, e di madre polacca, arrivato a Parigi già quasi ventenne, il principale promotore delle nuove idee estetiche. In un certo senso, tuttavia, questo aspetto certamente importante dell’opera di Apollinaire ha rischiato negli anni di darne un’immagine un po’ riduttiva. Apollinaire è stato un grande poeta anche indipendentemente dal suo coinvolgimento nei movimenti artistici di quegli anni, un poeta che rappresenta forse il più esemplare punto d’incontro tra tradizione e avanguardie; e da questo punto di vista, rileggere oggi la sua opera poetica, e in particolare Alcool in tutta la sua versatilità compositiva, è forse il modo migliore per rifare i conti con un autore la cui influenza è rimasta centrale in tutta la successiva poesia. Come scrive Fabio Scotto accompagnando questa sua traduzione, Alcool va a situarsi «a cavallo fra tradizione, lirismo, modernità e avanguardia, soddisfacendo nel contempo le esigenze del lettore popolare, che vi trova ballate rimate prossime alla tradizione medievale, così come quelle del lettore più esigente e colto, che qui si confronta con testi innovativi e sperimentali ricchi di rimandi mitologici a varie culture e dai tratti spesso esoterici»; una disparità di modi che se da un lato ha spesso disorientato la critica, dall’altro è essa stessa rappresentativa non solo del cantiere poetico di Apollinaire, ma anche del senso più veritiero della sua opera.

 

Nato a Roma, nel quartiere di Trastevere, nel 1880, figlio naturale di Francesco Flugi d’Aspermont e della nobildonna di origine polacca Angelica de Kostrowitzky, Guillaume Apollinaire fin da bambino si trasferì con la madre e il fratello Alberto in Francia, dapprima a Monaco, Cannes e Nizza, approdando poi nel 1899 a Parigi. Ben presto si legò ai nuovi artisti e poeti che gravitavano intorno alla capitale francese, tra i quali Pablo Picasso, Max Jacob e Giuseppe Ungaretti. Nel 1911 fu accusato e persino dapprima incarcerato per aver preso parte al celebre furto della Gioconda, ma fu poi rilasciato, risultandone del tutto estraneo. Si arruolò come volontario artigliere nella Prima guerra mondiale; ferito alla tempia nel 1916, dovette subire un delicato intervento di trapanazione del cranio. Morì due anni dopo, a soli trentotto anni, a causa dell’epidemia di influenza spagnola. La raccolta Alcools (1913) era stata preceduta da un’altra celebre opera, Le bestiaire ou cortège d’Orphée (1911); del 1918 sono invece i celebri Calligrammes. Poèmes de la paix e de la guerre, che nel 1930 avrebbero dato origine, con le litografie dell’amico Giorgio De Chirico, a uno dei più straordinari libri d’artista del Novecento. Tra le altre sue opere, ricordiamo in particolare i racconti di L’Hérésiarque et Cie (1910) e Le poète assassiné (1914).

 

Quarta di copertina:

«… Nous nous sommes rencontrés dans un caveau maudit
Au temps de notre jeunesse
Fumant tous deux et mal vêtus attendant l’aube
Epris épris des mêmes paroles dont il faudra changer le sens
Trompés trompés pauvres petits et ne sachant pas encore rire
La table et les deux verres devinrent un mourant qui nous jeta le dernier regard d’Orphée
Les verres tombèrent se brisèrent
Et nous apprîmes à rire…»

 «… Ci siamo incontrati in un cabaret maledetto
Al tempo della nostra gioventù
Entrambi fumando e malvestiti aspettando l’alba
Innamorati innamorati delle stesse parole di cui bisognerà cambiare il senso
Traditi traditi poveretti e non sapendo ancora ridere
La tavola e i due bicchieri divennero un morente che ci lanciò l’ultimo sguardo d’Orfeo
I bicchieri caddero s’infransero
E imparammo a ridere…»