Pablo Neruda: poesie brevi, d’amore e “senza purezza”

Pablo Neruda: poesie brevi, d’amore e “senza purezza”

Parafrasando Neruda, l’amore non è casto, né devoto. È fame. È corpo. È assenza che scava e devasta. E lui, poeta dell’amore sporco e sudato, sapeva bene l’importanza di non idealizzare quell’amore, ma anzi di renderlo necessario. 

Oltre i sonetti europei, eleganti e leggiadri, – “e se non fosse or tale, piagha per allentar d’arco non sana” –, c’è un ingombrante e quotidiano amore che puzza di pesce, di terra, di pelle bagnata; che lascia segni di morsi, che si consuma tra lenzuola ancora da rifare, tra mani che “non chiedono permesso”.

Se si è alla ricerca dell’amore come antidoto, come remissione dei peccati, probabilmente Pablo Neruda non è il poeta giusto. Qui non verranno trovati versi per esorcizzare e purificare l’amore.

Non l’amore perfetto, dunque, ma quello urgente, che sa di malinconia e di sangue.

“Amo l’amore che si divide in baci,
letto e pane.”

Le donne dei versi di Neruda sono come cicloni – non si chiamano Beatrice o Laura – e, in questo realismo trasfigurato nella poesia, sudano, piangono e si fanno lasciare. E Neruda scrive per loro non perché siano ideali, ma proprio perché non lo sono.

Neruda è il poeta dell’amore hic et nunc, qui e ora, che suggerisce, senza scomodarsi troppo, che non c’è amore senza poesia, ma, allo stesso tempo, non c’è poesia senza corpo.

Ma attenzione, la sensualità non è mai compiacente; e il motivo è semplice: quando Neruda ama, ama con tutto, anche con la rabbia, con la fatica, con il disincanto. Il suo è un amore civile, carnale, politico ma, soprattutto, è un atto di resistenza contro le sterilità del tempo.

In questo articolo proponiamo la lettura di alcune poesie riprese da tre raccolte diverse: Cento Sonetti d’amore, Venti poesie d’amore e una canzone disperata e Con i baci che imparai dalla tua bocca, tutti pubblicati da Passigli Editori.

Pablo Neruda: Poesie brevi

 

Cento Sonetti d’amore

II

 

Amore, quante strade per giungere a un bacio,
che solitudine errante fino alla tua compagnia!
I treni continuano a rotolare soli con la pioggia.
A Taltal ancora non albeggia la primavera.

Ma tu ed io, amor mio, siamo uniti,
uniti dai vestiti alle radici,
uniti d’autunno, d’acqua, di fianchi,
fino a essere solo tu, sol io uniti.

Pensare che costò tante pietre che trascina il fiume,
la foce dell’acqua del Boroa,
Pensare che separati da treni e da nazioni

tu e io dovevamo semplicemente amarci,
confusi con tutti, con uomini e con donne,
con la terra che pianta ed educa i garofani.

 

XI

 

Ho fame della tua bocca, della tua voce, dei tuoi capelli
e vado per le strade senza nutrirmi, silenzioso,
non mi sostiene il pane, l’alba mi sconvolge,
cerco il suono liquido dei tuoi piedi nel giorno.

Sono affamato del tuo riso che scorre,
delle tue mani color di furioso granaio,
ho fame della pallida pietra delle tue unghie,
voglio mangiare la tua pelle come mandorla intatta.

Voglio mangiare il fulmine bruciato nella tua bellezza,
il naso sovrano dell’aitante volto,
voglio mangiare l’ombra fugace delle tue ciglia

e affamato vado e vengo annusando il crepuscolo,
cercandoti, cercando il tuo cuore caldo
come un puma nella solitudine di Quitratúe.

 

XVII

 

Non t’amo come se fossi rosa di sale, topazio
o freccia di garofani che propagano il fuoco:
t’amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, entro l’ombra e l’anima.

T’amo come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato aroma che ascende dalla terra.

T’amo senza sapere come, né quando né da dove,
t’amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti

che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.

 

XXI

Oh che tutto l’amore propaghi in me la sua bocca, che non resista un momento di più senza primavera, io non vendetti che le mie mani al dolore, ora, beneamata, lasciami con i tuoi baci.

Copri la luce del mese aperto col tuo aroma, chiudi le porte con la tua capigliatura, e quanto a me non dimenticare che se mi sveglio e piango è perché in sogno son solo un bimbo sperduto

che cerca tra le imposte della notte le tue mani, il contatto del frumento che tu mi comunichi, un impulso scintillante d’ombra e d’energia.

Oh, beneamata, e null’altro che ombra per dove tu m’accompagni nei tuoi sogni e mi dica l’ora della luce.

 

XXXIII

Amore, ora andiamo alla casa
dove il rampicante sale per le scale:
prima che tu arrivi è giunta alla tua stanza
l’estate nuda con piedi di caprifoglio.

I nostri baci erranti percorsero il mondo:
Armenia, densa goccia di miele dissotterrato,
Ceylon, colomba verde, e lo Yang Tsé che separa
con antica pazienza i giorni dalle notti.

E ora, beneamata, per il mar crepitante
torniamo come due uccelli ciechi al muro,
al nido della lontana primavera,

perché l’amore non può volar senza fermarsi:
al muro o alle pietre del mare van le nostre vite,
al nostro territorio son tornati i baci.

 

XLIV

 

Saprai che non t’amo e che t’amo
perché la vita è in due maniere,
la parola è un’ala del silenzio,
il fuoco ha una metà di freddo.

Io t’amo per cominciare ad amarti,
per ricominciare l’infinito,
per non cessare d’amarti mai:
per questo non t’amo ancora.

T’amo e non t’amo come se avessi
nelle mie mani le chiavi della gioia
e un incerto destino sventurato.

Il mio amore ha due vite per amarti.
Per questo t’amo quando non t’amo
e per questo t’amo quando t’amo.

 

👉 Da Cento Sonetti d’amorea cura di Giuseppe Bellini

 

Venti poesie d’amore e una canzone disperata 

 

Corpo di donna

 

Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche
tu rassomigli al mondo nel tuo atteggiamento
[d’abbandono.
Il mio corpo di contadino selvaggio ti scava
e fa saltare il figlio dal fondo della terra.
Sono stato solo come una galleria. Da me
[fuggivano gli uccelli
e in me la notte entrava con la sua invasione
[possente.
Per sopravvivermi ti ho forgiato come un’arma,
come una freccia al mio arco, come una pietra
[nella mia fionda.

Ma cade l’ora della vendetta, e ti amo.
Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah le coppe del petto! Ah gli occhi dell’assenza!
Ah la rosa del pube! Ah la tua voce lenta e triste!
Corpo di donna mia, persisterò nella tua grazia.
La mia sete, la mia ansia senza limite, la mia strada
[indecisa!
Oscuri fiumi dove la sete eterna continua,
e la fatica continua, e il dolore infinito.

 

Ah vastità di pini

Ah vastità di pini, rumore d’onde che si frangono,
lento gioco di luci, campana solitaria,
crepuscolo che cade nei tuoi occhi, bambola,
chiocciola terrestre, in te la terra canta!

In te i fiumi cantano e in essi l’anima mia fugge
come tu desideri e verso dove tu vorrai.
Segnami la mia strada nel tuo arco di speranza
e lancerò in delirio il mio stormo di frecce.

Intorno a me sto osservando la tua cintura di nebbia
e il tuo silenzio incalza le mie ore inseguite,
e sei tu con le tue braccia di pietra trasparente
dove i miei baci si ancorano e la mia umida ansia
                    [s’annida.

Ah la tua voce misteriosa che l’amore tinge e piega
nel crepuscolo risonante e morente!
Così in ore profonde sopra i campi ho visto
piegarsi le spighe sulla bocca del vento.

Chino sulle sere

Chino sulle sere tiro le mie tristi reti
ai tuoi occhi oceanici.

Lì si distende e arde nel più alto fuoco
la mia solitudine che fa girare le braccia come un
                    [naufrago.

Faccio rossi segnali ai tuoi occhi assenti
che ondeggiano come il mare sulla riva di un faro.

Conservi solo tenebre, donna distante e mia,
dal tuo sguardo emerge a volte la costa del terrore.

Chino sulle sere getto le mie tristi reti
in quel mare che scuote i tuoi occhi oceanici.

Gli uccelli notturni beccano le prime stelle
che scintillano come la mia anima quando ti amo.

Galoppa la notte sulla sua cavalla cupa
spargendo spighe azzurre sul prato.

👉 Da Venti poesie d’amore e una canzone disperata a cura di Giuseppe Bellini

 

Con i baci che imparai dalla tua bocca. Poesie inedite

Forse occorre soffermarsi su quest’ultima raccolta. Chi conosce Neruda sa bene che la sua poesia non è solo parola, ma materia viva: inchiostro, carta, cancellature, improvvise accensioni di senso. Dal 1986, la Fundación Pablo Neruda custodisce con dedizione quasi sacrale questo patrimonio, fatto di manoscritti e dattiloscritti originali, ordinati in casse speciali dentro un caveau a temperatura e umidità controllate. Un vero caveau della poesia.

Proprio tra queste carte, nel 2011, un’équipe di archivisti e studiosi ha deciso di stilare un catalogo il più possibile completo dei testi originali del poeta. Un lavoro che ha riservato una sorpresa straordinaria: la scoperta di numerose poesie inedite, sfuggite perfino alla prima minuziosa revisione di Matilde Urrutia, vedova del poeta e prima custode della sua opera.

Questi testi coprono un arco temporale ampio, dai primi anni Cinquanta fino a poco prima della morte di Neruda nel 1973. Non sono versioni alternative o varianti di poesie già pubblicate: sono, tuttavia, da ritenersi come opere autonome, “vive” e compiute, anche se mai giunte alla stampa. Alcune sono scritte a mano su quaderni scolastici, fogli volanti, programmi di bordo, menù di navi; altre sono correzioni, ripensamenti, linee oblique e parole cancellate.

Per noi, è poesia nel suo farsi, e per questo… il suo respiro più autentico.

Nel cielo mi avvicino
al raggio rosso della tua chioma.
Sono di terra e grano e all’appressarmi
si prepara il tuo fuoco
dentro di me e accende
le pietre e la farina.

Per questo cresce e sale
il mio cuore facendosi
pane e che la tua bocca lo divori,
e il mio sangue è il vino che ti aspetta.
Tu ed io siamo la terra coi suoi frutti.
Pane, fuoco, sangue e vino
è l’amore terrestre che ci infiamma.

 

👉Da Con i baci che imparai dalla tua bocca. Poesie inedite – a cura di Darío Oses

 

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