Defilippi su La Stampa

In Abissinia dov’è nascosta la pietra magica.

Due vite parallele, infine destinate a riconoscersi, ora immobili stanno, ora avanzano, obbedendo a misteriosi richiami, in Le perdute tracce degli dei di Alessandro Defilippi, fra le figure meno italiane della nostra narrativa, un acrobata sul filo gnostico-fantastico, così estraneo alla deriva generazionale, alle saghe familiari, agli estenuati calligrafismi. E’ ancora “tempo di uccidere” per lo scrittore e psicoanalista torinese. Che forse non a caso architetta la sua fabula attorno a una visione di Svevo nella Coscienza di Zeno. Tremenda, apocalittica. Ad ora incerta, avvicinandosi la suprema agonia, padre Ferraris la ricorderà: a sé, e al maggiore Fabiani, come lui “arrivato alla conclusione.” Il gesuita-antropologo già si era manifestato in Angeli, il precedente romanzo di Defilippi (sempre per i tipi di Passigli) sospeso tra il 1938, la promulgazione delle leggi razziali, e il 10 giugno 1940, la mussoliniana dichiarazione di guerra. Le perdute tracce degli dei ne costituisce l’antefatto, ma respira autonomamente.
Nuovamente in Africa, nell’Abissinia dell’Italia imperiale, magari scorgendo l’Ombra di Jung, imbattutosi -correva l’anno 1925- in “quelli che parlano”, come gli indigeni definivano le voci provenienti da costruzioni abbandonate. Sicuramente perché là, solo là, di altipiano in deserto, ne è consapevole padre Ferraris, è possibile “nascondersi” a Dio e “forse dimenticarlo. Così vicino alla crudeltà di Dio e dei suoi messaggeri da non esserne visto.”
In ricerca (diversa ricerca) come padre Ferraris è l’ufficiale del genio Gualtiero Fabiani, il fascista geologo, distaccato, nonostante i gesti e le parole di rito, dal sanguinario e ottuso baraccone colonialistico, a modo suo attratto dalle cose ultime, da ciò che può determinarle, spalancando l’abisso -una tensione non metafisica, gli preme unicamente servire la patria, emanciparla da Hitler.
Padre Ferraris e il maggiore Fabiani sulle tracce degli dei, della protodivinità che è Wak, il “Dio prima di Cristo.” Tra inspiegabili mutilazioni, pietre rossastre, stregoni, gas, bombe, sensibilissimi contatori Geiger, idoli dagli occhi ciechi, mostruosi e occulti poteri…
Verso la fine di ogni cosa. Inevitabile quando si giunge a conoscere tutto. Quando si vìola l’albero dell’Eden. Quando la magia è profanata. Già uno stregone, quasi in lacrime, confessava al professor Jung: non facciamo più sogni.

Bruno Quaranta, Tuttolibri.