Maria Sole Sanasi d’Arpe, L’incoscienza sensibile – la Discussione, 21 novembre 2020, di Giuseppe Mazzei

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La passione per la filosofia ha un grande ruolo nell’ispirazione di queste liriche che oscillano tra la saggezza, che in genere a vent’anni non si ha, e la freschezza dell’appartenenza ad una generazione di cui vengono descritti i travagli e gli entusiasmi. C’è molta cultura classica tra le poesie di Maria Sole Sanasi d’Arpe che non sono tra loro monadi, atomi spirituali, ognuna dotata di vita propria e senza legame con le altre. Come scrive Massimo Cacciari in un’ampia e dettagliata prefazione, L’incoscienza sensibile è “un itinerario sapientemente organizzato” articolato in tante stazioni tra loro diverse, la pena, la narrazione, l’invettiva e la denuncia, il perdono e la misericordia e infine il cordoglio che diventa preghiera e apre ad una sorta di rinascita di se stessa.

La scelta delle parole è un mosaico di contrasti dominati da un’armonia frutto di dura conquista come se fosse un percorso spirituale di padronanza della realtà e della sua trasfigurazione. L’autrice mescola ritmi, rime e allitterazioni creando un’atmosfera di suoni evocativi “Non mi do colpa se non ho pregato:/ non ho mai commesso peccato opaco;/ e se non ho mai chinato il mio capo/ a chi m’ha tagliato dagli occhi gonfi/ l’ultima sola speranza rimasta”.

Ogni poeta anche quando dipinge “universali” parla sempre sommessamente di se stesso mostrandosi velato al lettore. Maria Sole Sanasi d’Arpe lo fa con leggiadria ed eleganza senza mai invadere con la scoperta continua di se stessa il mondo “altro da sé” che regala a chi legge le sue liriche. È in questo rispetto per la sensibilità altrui che sta una delle caratteristiche originali di questa poetessa che promette una produzione artistica di imprevedibile valore.

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