Con “Apocrifo nel baule” (Passigli 2019), Michele Brancale sposta la linea della sua poesia da sempre impegnata sul difficile confine di una epica non solo personale ma anche civile a un livello più oscuro ed estremo. Controfigura o meglio prosecutore di un manoscritto paterno di poesie “peccato di gioventù” il poeta viaggia stavolta nei ricordi del paese, Spadarea, e di un tempo di infanzia e perenne nei suoi acquisti principali. Così la raccolta lontana dal cadere in una ovvia memorialistica tiene la corda tesa della indagine esistenziale e trova in figure a metà tra ricordo e invenzione i suoi passi, le sue scoperte.
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