«Non scriva poesie d’amore», fu questo il consiglio di Rainer Maria Rilke a un giovane poeta che nel 1903 gli chiedeva consigli sui propri versi, come ci ricorda Sabrina Mori Carmignani nella prefazione di Poesie d’amore.
Un ammonimento netto, che sembra più un avvertimento esistenziale che un giudizio letterario. E che, inevitabilmente, rivolge anche a se stesso.
Il paradosso è che Rilke, negli anni giovanili, aveva scritto non poche poesie d’amore: un’intera raccolta dedicata a Lou Andreas-Salomé (in catalogo puoi trovare le loro bellissime lettere, raccolte in Da qualche parte nel profondo).
Ma di quell’amore aveva anche compreso il limite che porta un’ispirazione radicata nella sola esperienza personale. Sono, di fatto, un diario segreto, appunti di un amore che risulta essere anche un esercizio di conoscenza di sé.
E in Rilke, il sentimento è un’eco.
Per capirlo è però necessario collocarlo nella cornice febbrile della Mitteleuropa di inizio Novecento: un crocevia di lingue, culture e tensioni che genera una letteratura impregnata di inquietudine e ricerca dell’assoluto. È lo stesso orizzonte in cui si muovono Hermann Broch, Franz Kafka con i suoi processi interiori, Heinrich Mann con la critica alla decadenza borghese, Robert Musil, Arthur Schnitzler con le sue indagini nei territori dell’eros e dell’inconscio. In questo contesto, Rilke non è un poeta dell’amore ma dell’interrogazione, uno che usa ogni tema – anche quello amoroso – per scavare nell’essere.
Anche con Lou Andreas-Salomé non si trattò solo di un rapporto sentimentale, ma di un’alleanza intellettuale: Lou, già vicina a Nietzsche e a Freud, introdusse Rilke a nuove prospettive filosofiche e psicologiche, lo incoraggiò a viaggiare, a uscire dai confini della propria esperienza per guardare al mondo con occhi diversi. Anche dopo la fine della relazione, Lou rimase per lui una figura di riferimento e di confronto.
Dentro questo percorso, le poesie d’amore di Rilke – soprattutto quelle giovanili – sono rare gemme, frutto di una stagione in cui il sentimento era ancora legato al vissuto diretto. Ma già in esse si intravede quella tensione verso il “poematico” che caratterizzerà poi i Sonetti a Orfeo e le Elegie Duinesi, dove amore, morte, arte e trascendenza si fondono in un unico respiro.
Per questo, è necessario immergersi in questa antologia rilkiana come se fosse una mappa di paesaggi e rimandi segreti.
In sogno o a primavera
ti ho incontrata,
e ora attraversiamo insieme il giorno d’autunno,
tu stringi la mia mano e piangi.
Piangi per le nubi che s’inseguono?
per le foglie rossosangue? Appena.
Lo sento: un tempo eri felice
in sogno o a primavera…
*****
Cammino alle tue spalle, come un convalescente
ancora debole dalla sua cella buia: nella luce,
dal chiarore dei suoi palmi un gelsomino
gli fa un cenno. L’aria che egli inspira lo solleva
oltre la soglia, avanza brancolando: l’immensa
primavera sospinge su di lui onda dopo onda.
Cammino alle tue spalle e in te confido.
Intuisco il tuo profilo attraversare
la radura dinanzi alle mie mani tese.
Cammino alle tue spalle come bimbi spaventati
da vertigini febbrili verso donne luminose
capaci di calmarli, di comprendere l’angoscia.
Cammino alle tue spalle. E non chiedo dove
il tuo cuore mi conduce. Ti seguo e come i fiori
sento l’orlo radente della tua veste…
Cammino alle tue spalle anche attraverso l’estrema
porta, ti seguo anche oltre l’ultimo dei sogni…
*****
Spegni i miei occhi: io ti vedrò lo stesso,
sigilla le mie orecchie: io potrò udirti,
e senza piedi camminare verso te
e senza bocca tornare a invocarti.
Spezza le mie braccia e io ti stringerò
con il mio cuore che si è fatto mano,
arresta i battiti del cuore, sarà il cervello
a pulsare e se lo getti in fiamme
io ti porterò nel flusso del mio sangue.
*****
CANTO D’AMORE
Come posso trattenere la mia anima
perché la tua non sfiori? Come
sollevarla oltre di te verso altre cose?
Ah nasconderla vorrei nel buio
di un perduto esilio, in un punto
muto e ignoto dove non sia più eco
al palpito che sale dalle tue profondità.
Ma tutto, tutto quello che ci tocca, te e me,
ci prende insieme come quando, a un colpo d’arco,
un suono scaturisce da due corde.
Su quale strumento siamo tesi?
E quale violinista ci possiede?
O dolce canto.
*****
Non assomiglia a respirare, questo incessante
avvicendarsi d’incanto e di rinuncia,
quando, ciò che appena era ed era soffio,
si raccoglie in un volto a noi vicino?
Mondo e volto: come si respingono e come
stranamente si assomigliano: nessuno è più…
Ieri mi appagavano i declivi
in lontananza. Oggi mi manca
il levarsi di uno sguardo, una bocca
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