Sergio Doraldi, Il cassetto dei giocattoli – Gradiva, n. 55, primavera 2019, di Plinio Perilli

Eleganti e intensi, affollati di incantamenti e peregrinazioni di sapienza, i poemetti di Sergio Doraldi (pseudonimo di Sergio Doplicher, illustre fisico teorico di fama internazionale, Premio Alexander von Humboldt e dell’Accademia dei Lincei, nonché fratello di quel Fabio Doplicher che è stato un letterato di punta fin dagli anni ’70) svelano uno spirito libero, ulteriormente affrancato sia dalla sua cultura in utroque, sia dal suo forte gesto e piglio d’eclettismo: «Sono in viaggio rettilineo col sole a picco / che gradualmente schioda e schianta / e squaglia la materia e di colpo»…

Un inesauribile conciliabolo onirico ed esperienziale, trasognato eppure lucido fino all’estremo, al calor bianco dei ricordi e degli affetti, delle cento, mille prove esistenziali, ma anche e altrettanti crediti di saggezza, profusi doni insieme ricevuti e affidati. Splendido ad esempio il suo giusto omaggio a Liu Xiaobo, «figura della libertà, incontenibile da cancro e prigione»: un’anima esemplare che certo anche a nome di tutti «scriveva col dito intinto nell’acqua / i suoi versi, ancora può reggere / la penna e il suo peso, dopo che il peso / della ribellione ha schiacciato le spalle, / e se la gratitudine sarà quella dovuta / a chi ha dato la vita per l’umanesimo».

Come un prestigioso, munifico ordito sintattico-linguistico, lo corrobora un dettato sinuoso, melodico, meditabondo e impennato all’unìsono. Fantasmagoriche sequele d’endecasillabi a ripercorrere un sofferto, liberatorio, penoso e assolto bisogno, cioè dovere d’identità, rifrangenza sensibile; caparbio ed effuso fluire poi di enjambement, “movimenti oculari rapidi” nel paziente, fluviale rito delle parole (ma ciascuna è forse rituale e catartica, nel Giordano battesimale d’ogni inginocchiata, devota esperienza): «se un attimo cessa il volgere ostile / e lieta corri scalza tra i fiori / lieve accarezzi l’erba e il mio viso / ridendo e leggera poi prendi il volo / in un battere d’ali vento tra i rami / lasciandoti dietro dopo il silenzio / inquieta incertezza su cosa sei stata, / eco, presenza, speranza, parola».

I momenti (e movimenti) più intensi e necessari, ci sembrano quelli in cui la ridda, la spuma concitata o serena dell’evocatio s’impausa come in un quadro, una scena o sequenza insieme artistica e filosofica, quasi una teatralizzata cabala espressiva, in viaggio nella storia e nella vita: i «sassolini pietosi sulle tombe deposti / affastellate e invase da fitta boscaglia» (nel Cimitero Ebraico a Trieste); i “tre acquerelli con figure” che assommano e apparentano “residui diurni”, “sugheri” e “ciottoli”, nobili filosofemi e scorie insieme di un quotidiano che evoca e incarna, meglio si ritempra degli «echi lontani nella brezza leggera / turbinare di rivoli». Per non parlare della citazione caravaggesca della “Vocazione di S. Matteo”, a S. Luigi dei Francesi, a Roma: quell'”io?” che tutti forse potremmo e dovremmo dire, sentendoci, capendoci chiamati: «luce irreale da una porta socchiusa, / l’indice al petto, volgiamo lo sguardo / increduli»…

Forse il suo must è una inesausta idea di viaggio che parte dagli occhi e ci reclama o giunge fino al cuore, e dove non contano le migliaia di miglia, i pochi metri o le galassie intere dello Spirito, se il “caleidoscopio” veneziano d’una «laguna sospesa, ferma laguna / silenzio esteso e ribollire lontano / dei vaporetti, percepibile a pena / sciabordare di minime onde / sui gradini che scendono in acqua», ci diventa scenografia imperiosa e suadente, fulcro d’una post-rimbaudiana illuminazione che «mostra paesaggio dell’io o trascendente / oltre il fondo dei cassetti dell’animo, / del buio nel cielo stellato, / d’orizzonti di laguna che tace»… Un “navigare notturno”, poi, che diventa il suo appello e anche la sua dichiarazione di nuova poetica, «dove oggi la strada è sbarrata / a conciliare, all’inizio del tutto, / il mondo quantistico con la gravitazione, / e a dar conto di quell’esordio, / divenuto un accordo sommesso / per l’espansione sino a quello ch’è ora / dell’universo»… Molto ci piace dunque che le carte, perfino gli spartiti si mischino, e la poesia prenda a prestito dalla musica spleen et idéal, avrebbe detto Baudelaire, che a Sergio Doraldi, noi crediamo, ha felicemente trasmesso il morbo, e la saggezza delle “Correspondances”.

 

Plinio Perilli