Uova fatali
Michail Bulgakov
Le Occasioni
Il libro:
Racconto tra i più celebri e godibili della produzione di Bulgakov, Uova fatali innesta l’ironia del grande scrittore russo sulla ‘follia’ della nuova realtà sovietica, creando una miscela satirica che ha pochi rivali nella storia della letteratura del Novecento.
Mosca, 1925. Il professor Persikov, illustre e schivo studioso di zoologia, inventa per caso un raggio luminoso che, applicato alle uova, ha il potere di moltiplicare enormemente la capacità di riproduzione degli animali, e le dimensioni degli animali stessi. Le conseguenze del raggio possono essere sia utili che terribili, e il professore intenderebbe studiarne le possibilità secondo parametri rigorosamente scientifici.
Ma una morìa di polli che si diffonde nel paese spinge le autorità sovietiche ad impadronirsi dell’invenzione nel tentativo di rimpinguare in breve tempo gli allevamenti nazionali. Le conseguenze sono allo stesso tempo tragiche e comiche.
L'autore:
Michail Bulgakov, nato a Kiev e moscovita di adozione, rappresenta un caso nella letteratura sovietica, scatenando fin dalle sue prime pubblicazioni le aspre polemiche della censura di Stato e del Partito per il suo feroce realismo, tanto da essere bollato come ‘reazionario’.
Uova fatali è uno dei primi racconti pubblicati da Bulgakov sulla rivista ‘Nedra’.
Di Michail Bulgakov la Passigli Editori ha pubblicato anche il racconto Morfina.
Il brano:
«Aveva cinquantotto anni tondi tondi. Una testa notevole, appuntita, calva, con ciuffi di capelli giallastri che spuntavano ai lati. Il viso era perfettamente rasato, il labbro inferiore sporgente, il che conferiva al volto di Persikov un’espressione un po’ capricciosa. Sul naso rosso piccoli occhiali fuori moda con la montatura d’argento, occhi lucidi, piccoli. Alto di statura, alquanto curvo, parlava con una voce stridula, sottile, gracchiante e tra le altre particolarità si poteva annoverare anche questa: quando diceva qualcosa di cui era assolutamente convinto, piegava l’indice della mano destra a formare un uncino e socchiudeva gli occhietti.»