Confessione di un teppista

Poesie e poemetti

Sergej Esenin

Passigli Poesia

a cura di Bruno Carnevali

Anno :2021

Pagine :256

Prezzo :18,50€

ISBN :9788836818051

Nato nel 1895 nella regione di Rjazan’, Sergej Esenin cominciò prestissimo a scrivere, pubblicando poesie in giornali di provincia. Prima a Mosca, poi a Pietroburgo, si legò a poeti come Blok e Kljuev, ed a quest’ultimo in particolare, che condivideva con lui l’o - rigine contadina. Rispettivamente del 1916 e del 1918 sono le prime due raccolte, "Festa dei defunti" e "Azzurrità". Un anno più tardi fu tra i fondatori, insieme a Mariengof e a Šeršenevic, della nuova scuola degli ‘imma - ginisti’. È in quegli anni, appena a ridosso della rivoluzione, che la fama di Esenin cresce, al punto da poter arrivare a competere con l’altro astro nascente della nuova poesia russa, Vladimir Majakovskij; e se fra i due vi fu rispetto, e forse anche stima non solo ostentata, pure sarebbe difficile immaginare due poeti di una stessa epoca più distanti fra loro, eppure accomunati da uno stesso, tragico destino. Al 1921 appartengono lo straordinario poemetto Pugacëv – forse la sua opera più vicina alla poetica degli ‘immaginisti’ – e la raccolta Confessione di un teppista; del 1924 è Mosca delle bettole . Con gli anni si approfondiva tuttavia il suo disagio esistenziale. Con alle spalle una rivoluzione nella sostanza mai amata né compresa e, davanti a sé, il costante e consapevolmente utopico desiderio di un ritorno alle origini, alla sua Rus’ natale e contadina, Esenin scontava il dramma della sua solitudine, della sua ‘estraneità’ («Nel mio paese io sono ancora uno straniero…»). A nulla valsero la fama letteraria, i tre matrimoni, fra i quali quello ‘scandaloso’ con la celebre stella della danza Isadora Duncan, il viaggio con lei prima in Germania e poi negli Stati Uniti, soltanto tappe di una vita di vagabondaggio tesa ormai vorticosamente verso il suo epilogo più tragico. Che puntualmente avvenne a San Pietroburgo, la notte del 28 dicembre 1925, quando si uccise impiccandosi nella sua stanza d’albergo.

 

«Dai tempi di Kolkov la terra russa non aveva prodotto nulla di più connaturato, di più radicato, di più consono e congeniale a sé di Sergej Esenin, dono offerto alla sua epoca con rara disinvoltura, senza gravami di zelo populista. Di più, Esenin era una particella viva, palpitante di quell’artisticità che noi definiamo, sull’esempio di Puškin, principio mozartiano, elemento mozartiano. Esenin considerò la propria vita come una fiaba: come Ivàn, il figlio dello zar, egli sorvolò l’oceano su un lupo grigio; come nell’Uccello di fuoco egli afferrò le piume di Isadora Duncan. Anche i suoi versi li scrisse alla maniera delle fiabe, ora facendo dei solitari con le parole, quasi fossero carte, ora vergandole con il sangue del cuore. Di più prezioso in lui vi è l’immagine della boscosa natura della terra nativa, della Russia centrale, della zona di Rjazan’, resa con stupefacente freschezza, come gli era data nell’infanzia».

Boris Pasternak