La caduta della casa degli Usher, Hill House, Bly Manor, Il racconto dell’Ancella… cosa hanno in comune? Oltre a essere state tra le serie più apprezzate su Netflix e Prime, sono tutti ispirati a celebri racconti del terrore. Parliamo di autori come Edgar Allan Poe, Shirley Jackson, Henry James, e la più contemporanea Margaret Atwood.
Le serie tv, e in generale il cinema, sono sempre state attratte da questo genere di storie. Attraverso la suspense e l’ansia, tali storie ci offrono un viaggio emotivo che stimola l’adrenalina, sfidando la nostra percezione della realtà. Il terrore, presentato in forme varie e spesso soprannaturali, ci permette di confrontarci con paure ancestrali, offrendoci una catarsi psicologica.
Perché siamo attratti dalle storie horror?
I motivi psicologici ed emotivi sono tanti e diversi. Il piacere cognitivo della paura, derivante dal confronto con le nostre paure in un ambiente sicuro, contribuisce a questa attrazione. Il cervello reagisce in modo diverso a stimoli minacciosi, creando una serie di risposte sia durante momenti di anticipazione che durante l’esperienza diretta della paura. Questo coinvolgimento cerebrale, che include anche la preparazione per una possibile risposta comportamentale, può generare una miscela di ansia ed eccitazione che alimenta il nostro interesse per l’horror.
Diverse sono le teorie psicologiche che spiegano la ricerca di stimoli e sensazioni forti. In una prospettiva psicoanalitica, a essere coinvolta è la parte più istintiva e primordiale presente in ciascuno di noi che, pur risentendo di norme e influenze sociali, non riusciamo completamente a mettere a tacere o reprimere. Quella parte è fatta anche di istinti dell’inconscio più violenti e crudeli che, attraverso i film horror, possono trovare una soddisfazione nella nostra fantasia e, perché no, darci anche una distrazione da tutto ciò che ci appesantisce durante il giorno o ci crea noia.
Un’altra teoria, del panorama neuropsicologico, è quella dello psicologo e ricercatore Marvin Zuckerman, che si occupò maggiormente di sensation seekers (cercatori di sensazioni). I cercatori di sensazioni avrebbero una bassa attivazione del sistema nervoso che li porta a cercare stimoli nell’ambiente esterno. La ricerca di sensazioni coinvolge diversi aspetti della vita di un individuo – per esempio le relazioni, l’ambito lavorativo, le cose che lo appassionano – e non è un tratto patologico della personalità, anzi è del tutto normale come praticare sport intensi (pensiamo ad esempio al parapendio!): restituisce alla persona quello che viene definito appagamento adattivo.
Le reazioni fisiche e biochimiche durante la visione di film spaventosi sono infatti le medesime di chi pratica sport estremi, ossia il rilascio di dopamina, endorfine e adrenalina nel cervello. Questi ormoni generano sensazioni di forte benessere e felicità, oltre che euforia e riduzione dello stress.
Che siano film, serie o romanzi, il genere horror è in grado di farci dimenticare più efficacemente tutto ciò che di noioso e pesante affrontiamo ogni giorno, portando la nostra attenzione sulle intense emozioni primordiali.
5 racconti dell’orrore: Hawthorne, Hoffman, de Maupassant, Stoker, Woolf
Per questi motivi, abbiamo selezionato dal nostro catalogo Passigli, 5 famosi racconti dell’orrore. Niente di conosciuto o già visto, ma storie che sicuramente non avete ancora letto e che sono pronte a scorrere nelle vostre vene. Come suggerisce lo scrittore Palahniuk, ci sono storie che si consumano, altre consumano noi.
Horla di Guy de Maupassant
Ma che cos’ho dunque? È Lui, lui, Horla, che mi ossessiona e mi fa avere queste allucinazioni? È in me, diventa la mia anima; lo ucciderò!
Il racconto narra la vicenda di un uomo della borghesia, celibe e benestante, che si ritrova ossessionato da una presenza invisibile chiamata l’Horla. Questa presenza si fa sentire per la prima volta mentre l’uomo è in mare su un battello, e da allora inizia a percepire la sua vita lentamente succhiata da questo essere oscuro.
Afflitto da una strana forma di febbre cerebrale, l’uomo inizia a soffrire di insonnia e di incubi terribili, costantemente ossessionato dalla sensazione che qualcuno lo stia osservando dall’interno di sé. Nonostante la sua lucidità mentale, il protagonista si rende conto che l’Horla lo sta conducendo alla follia.
Deciso a liberarsi dell’Horla, l’uomo cerca di renderlo visibile fingendo di scrivere e girandosi di scatto quando avverte la sua presenza dietro di sé, ma non riesce a vedere nulla nello specchio. In preda alla disperazione, decide infine di incendiare la propria casa, causando la morte dei suoi servi, nella speranza di distruggere l’Horla.
Le Horla, originariamente pubblicato nel 1885 come “Lettre d’un fou” e successivamente ampliato in due versioni, rappresenta un esempio della complessità e dell’inquietudine di Maupassant. Il racconto oscilla tra il razionale e l’irrazionale, esplorando le zone d’ombra della mente umana. La storia si sviluppa attraverso un diario personale interrotto, rivelando i tormenti interiori del protagonista mentre combatte con un’entità invisibile che sembra prendere il controllo della sua vita.
Il Maupassant presentato in Le Horla si distingue dalla sua immagine più convenzionale come autore di successo di Bel-Ami e Mont-Oriol. In questa raccolta, Maupassant esplora non solo il realismo, ma anche l’irrazionale e le nevrosi che agitano la mente umana. Le Horla rappresenta un’analisi profonda delle paure e delle ossessioni umane, offrendo un’interpretazione dell’orrore che va oltre la mera narrativa del terrore.
La coppa di cristallo di Bram Stoker
“La Coppa di Cristallo” è un racconto favoloso scritto da Bram Stoker, meglio conosciuto come l’autore di “Dracula”. Pubblicata per la prima volta nel 1972 sulla rivista “London Society”, e successivamente inclusa in una raccolta nel 1982, questa storia narra di un prigioniero confinato in una cella di un castello, immerso nei suoi pensieri e nei suoi sogni di libertà. L’uomo è un artista determinato a creare un vaso di cristallo così straordinario che il sovrano del regno lo libererà in segno di ammirazione.
Il racconto è intriso di romanticismo forzato, ma al tempo stesso porta avanti una moraleggiante riflessione sull’arte e sul suo potere redentore. Mentre il prigioniero lavora instancabilmente al suo capolavoro, il tempo scorre e si chiede ansiosamente cosa stia accadendo alla sua amata Aurora, lontana da lui.
Diviso in tre parti e narrato attraverso diversi punti di vista, “La Coppa di Cristallo” affascina con la sua prosa epica e fantastica. Il linguaggio e lo stile variano a seconda del personaggio narrante, arricchendo la lettura con una varietà di toni e atmosfere. Sebbene non sia il punto più alto della produzione di Stoker, questo racconto offre comunque un’interessante incursione nell’immaginario dell’autore, contribuendo a delineare il suo percorso artistico e l’epoca in cui ha operato.
La casa stregata di Virginia Woolf
A qualsiasi ora uno si svegliasse una porta si chiudeva. Andavano di stanza in stanza, mano nella mano, sollevando qui, aprendo là, guardando ancora. Una coppia spettrale.“
“La casa stregata” è una raccolta postuma di racconti di Virginia Woolf, pubblicata nel 1944 e curata dal marito Léonard, che comprende diciotto affascinanti narrazioni composte dall’autrice a partire dal 1906 fino agli ultimi anni della sua vita. La selezione dei racconti è stata effettuata dalla stessa Virginia poco prima del suo suicidio, insieme a Léonard, includendo sia storie già edite che altre ancora inedite.
Ogni racconto della raccolta sembra essere un’istantanea dell’immaginazione di Woolf, una serie di bozzetti magistralmente eseguiti che catturano l’essenza della sua scrittura. Sebbene manchi un filo narrativo unificante, emergono temi e elementi ricorrenti, tra cui la fuga dalla realtà per rifugiarsi nell’irreale, un tema caro all’autrice.
In uno dei racconti più suggestivi, una donna, voce narrante, esplora le sensazioni di vivere in una casa impregnata di ricordi, dove una coppia di fantasmi vaga in cerca di qualcosa. Tuttavia, la narratrice non prova timore, bensì si immerge nelle varie sfumature del battito del cuore della casa, seguendo la “coppia spettrale” nella ricerca di un tesoro nascosto. Questo racconto, originariamente pubblicato nel 1921 nella raccolta “Lunedì o martedì”, evidenzia la maestria di Woolf nel dipingere atmosfere suggestive e nel sondare i recessi dell’animo umano.
I racconti che compongono “La casa stregata” offrono una testimonianza del suo costante esperimento narrativo e della sua profonda comprensione della complessità dell’esistenza umana. Inoltre, rappresentano un punto di partenza prezioso per comprendere i metodi narrativi e i temi sviluppati nei suoi romanzi più celebri, offrendo al lettore un’esperienza di lettura fresca, elegante, ironica e sempre profonda.
La verità del caso di Valdemar di Edgar Allan Poe
Ne La verità sul caso Valdermar (The Facts in the Case of M. Valdemar), Edgar Allan Poe orchestra un esperimento narrativo che affonda le sue radici tanto nel fascino per il mesmerismo quanto nel terrore viscerale della decomposizione. Sicuramente non è da salto sulla sedia, ma pagina dopo pagina, l’incubo si insinua lentamente e si attacca addosso con la forza di un’allucinazione lucida e razionale. Il terrore nasce proprio lì, nell’apparente scientificità dell’esperimento, nella freddezza chirurgica con cui viene descritto.
La trama è già inquietante di per sé: Valdemar è morto… ma continua a parlare. Non come un fantasma, non con un rantolo o un sospiro, ma con una voce prodotta da una lingua immobile e una bocca spalancata. Un dettaglio che fa rabbrividire e che Poe dosa con la maestria del vero artigiano dell’angoscia. La voce sembra provenire da un altrove non definito, un limbo tra vita e morte, forse peggio della morte stessa.
Il risultato? Un racconto che, a distanza di quasi due secoli, continua a inquietare, affascinare e a farci chiedere: cosa accadrebbe se la morte potesse essere ritardata… ma non evitata?
Il capolavoro sconosciuto di Honoré de Balzac
Nel racconto “Il capolavoro sconosciuto”, Honoré de Balzac esplora le profondità oscure dell’ossessione artistica attraverso la figura di Frenhofer, un pittore consumato dal desiderio di creare l’opera perfetta. Il fulcro di questa ricerca è il ritratto di Catherine Lescault, un dipinto che incarna non solo l’ambizione dell’artista, ma anche il terrore insito nell’incapacità di tradurre l’ideale in realtà. Frenhofer dedica sette anni alla realizzazione di questo capolavoro, convinto di aver raggiunto la perfezione assoluta. Tuttavia, quando finalmente decide di svelare l’opera ai colleghi Porbus e Poussin, la rivelazione è sconvolgente: sulla tela non appare la figura di una donna, ma una confusa amalgama di colori e forme indistinte, da cui emerge solo un piede di straordinaria bellezza . Il terrore in questo contesto non è generato da elementi sovrannaturali, ma dalla consapevolezza che si paga nel perseguire un ideale irraggiungibile, in un intrigato avvilupparsi tra genio e follia, tra creazione e autodistruzione.