Arthur Rimbaud
Tutti gli scritti
Paul Verlaine
Biblioteca Passigli
Paul Verlaine e Arthur Rimbaud formano oggi una coppia mitica nell’immaginario di chi ama la poesia. Quando si conobbero, nel 1871, il primo aveva ventisette anni, il secondo dieci di meno, il primo era un poeta affermato, almeno nei cenacoli letterari parigini, il secondo era un ragazzino che gli aveva inviato qualche lirica sorprendente; inoltre Verlaine era sposato e, di lì a poco, padre di un bimbo. Eppure, nello scandalo che ben presto li avvolse, nacque tra i due un’amicizia non solo letteraria che li portò a un intenso periodo d’intimità e di vagabondaggio, tra il Belgio e l’Inghilterra, culminato drammaticamente due anni più tardi a Bruxelles, quando Verlaine sparò a Rimbaud ferendolo a un polso. Ne seguirono l’arresto e la detenzione in un carcere belga, dove Verlaine rimase rinchiuso fino al 1875, anno dell’ultimo incontro tra i due e anno dell’abbandono definitivo della letteratura da parte di Rimbaud. Da quel momento, iniziava la leggenda di Arthur Rimbaud, “l’uomo dalle suole di vento”, andato a viaggiare e a vivere in Africa, facendo quasi perdere le sue tracce; ma iniziava anche lo strenuo, puntiglioso, appassionato lavoro di Verlaine per rivendicare la grandezza letteraria dell’amico lontano e forse morto, pubblicando la maggior parte delle sue opere e scrivendo ben nove testi a lui dedicati, più due capitoli autobiografici delle Mie prigioni: tutti scritti riuniti in questa nostra edizione, insieme alla corrispondenza tra due poeti che stanno alle origini della poesia dei nostri giorni.
«… Una stagione all’inferno, se ancora non prefigura l’addio alla letteratura da parte del poeta diciannovenne, sembra tuttavia annunciare un nuovo Rimbaud, uscito dall’inferno, pronto a evadere verso terre lontane, sotto un cielo in cui scorge “spiagge infinite coperte di bianche nazioni in letizia”. È il futuro négociant, l’avventuriero, l’esploratore, in preda alla sua dromomania, termine clinico di quegli anni per definire l’ossessione del viaggio, è insomma la seconda metà del “doppio Rimbaud”, per usare l’espressione di Victor Segalen. Del viaggiatore, Verlaine ha notizie incerte, talvolta gli giungono anche voci sulla sua morte, e inoltre, scrivendo I poeti maledetti, è consapevole che Rimbaud avrebbe sconsigliato uno studio sulla sua opera, cosa che lo fa sbottare: “In tal modo si maledice da solo quel Poeta Maledetto!”. Ma più avanti apre una parentesi conciliante: “Se per caso queste righe capitano sotto gli occhi di Arthur Rimbaud, sappia che non giudichiamo i moventi degli uomini e sia sicuro della nostra completa approvazione (della nostra cupa tristezza, anche) di fronte al suo abbandono della poesia, purché, come non ne dubitiamo, per lui quest’abbandono sia logico, onesto e necessario”…»
Dalla prefazione di Maurizio Ferrara