Sonetti amorosi e morali
Francisco de Quevedo
Passigli Poesia
Il libro:
Secondo una sua stessa testimonianza, Pablo Neruda lesse le poesie di Quevedo a Madrid, nel 1935, e da quel momento non poté più staccarsene; e Jorge Luis Borges, a sua volta, considerava uno degli ‘enigmi’ della storia il fatto che il nome di Quevedo non comparisse nella lista dei nomi universali, accanto a Omero, Sofocle, Lucrezio, Dante, Shakespeare, Cervantes, Swift, Melville, Kafka. Così due scrittori dell’America di lingua spagnola, pur tanto distanti tra loro, rivendicavano il magistero e la grandezza di uno dei massimo scrittori di Spagna del siglo de oro – autore di una vasta produzione che abbraccia poesia, filosofia, romanzo, politica, teatro –, «il più nobile stilista spagnolo, insieme a Cervantes», come osserva Vittorio Bodini nella nota critica che accompagna questa sua impeccabile scelta e traduzione di liriche di Quevedo.
Grande stilista, certo; ma anche grande spadaccino e uomo ‘estremo’ in tutte le sue manifestazioni, anche violente, che gli costarono, a torto o a ragione, l’ostilità di vari potenti e lunghi anni di prigionia. E se l’antologia delle sue liriche voluta da Bodini ci dà un’eloquente testimonianza, anche nel pregio delle traduzioni, della sua grandezza di poeta, il Viaggio al cuore di Quevedo di Pablo Neruda, qui per la prima volta tradotto in italiano, ci conduce alla ricerca delle origini di quella grandezza, alla sua profondità di uomo e di scrittore contro, quasi ripercorrendo a ritroso, da questa visuale, la tenace anima ‘di lotta’ della poesia spagnola, incarnata più recentemente nelle voci tragicamente spezzate di tre dei suoi maggiori protagonisti, Federico García Lorca, António Machado e Miguel Hernández; perché, scrive Neruda, «sotto a tutte le pagine, più alti delle biblioteche, meno ermetici attraverso la morte, liberando radici sempre più essenziali in profondità, radici che affiorano in superficie e salgono attraverso gli uomini per mantenere le lotte e la continuità dell’essere».
Il brano:
«Un’anima che ha avuto dio per carcere,
vene che a tanto fuoco han dato umore,
midollo che è gloriosamente arso,
il corpo lascheranno, non l’ardore;
anche in cenere, avranno un sentimento;
saran terra, ma terra innamorata.»
da Amor costante al di là della morte